Gaetano Donizetti, uno dei massimi operisti italiani della prima metà dell’Ottocento, nacque a Bergamo il 27 novembre 1797. Penultimo di sei figli, visse i primi anni in un ambiente angusto, sito in borgo Canale nella Bergamo Alta, ricordato dallo stesso Donizetti come triste tugurio “ov’ombra di luce non mai penetrò”. Le prime notizie sul suo percorso musicale iniziano dal 1806 quando fu discepolo di Simone Mayr presso le lezioni caritatevoli di musica per giovani musicisti indigenti. Mayr, all’epoca rinomato operista, avvicinò il giovane Donizetti al mondo del teatro musicale a partire dagli anni scolastici. Inviato a Bologna nel 1815 da Mayr stesso, Donizetti perfezionò gli studi di contrappunto e composizione e ivi scrisse il suo primo lavoro teatrale, la scena lirica in un atto Pigmalione (rappresentata per la prima volta soltanto il 13 ottobre 1960 al Teatro Donizetti di Bergamo). Il suo esordio avvenne il 1818 al teatro S. Luca di Venezia con Enrico di Borgogna, che nonostante il buon successo non permise ancora un’ampia risonanza per via della preminenza di Rossini in quegli anni. La sua consacrazione avvenne nel 1822 al teatro Argentina di Roma (contratto ottenuto sempre con l’intercessione di Mayr) con l’allestimento di Zoraide di Granata.
Il nome di Donizetti cominciò a circolare per la penisola e prima fra tutte Napoli gli aprì le porte dei suoi teatri: la città partenopea si presentò al giovane bergamasco come sede ideale per consacrare definitivamente la sua fama. Firmato nel 1827 un contratto con l’impresario Domenico Barbaja, che lo impegnava a produrre quattro opere all’anno, Donizetti si stabilì a Napoli e compose lavori prevalentemente comici, raggiungendo un grande successo con l’Elisir d’amore (1832). Sempre nella città partenopea, fu nominato direttore dei Teatri Reali e accettò la cattedra di composizione al Conservatorio. La profusione e la facilità di scrittura di Donizetti era legata a una frenesia compositiva dovuta sia al di mestiere sia all’innato carattere, ma non ne risentirono affatto la naturalezza espressiva, il ritmo incalzante
dell’azione musicale e la varietà sonora realizzata della sua timbrica.
Il suo grande valore emerse dall’aver dato piena voce allo spirito ottocentesco nell’opera, ad esempio in Anna Bolena (1830, teatro Carcano di Milano) o Lucia di Lammermoor (1835 al S. Carlo). Donizetti rappresentò con maestria il tragico dissidio amore-morte, esigendo un linguaggio meno stilizzato, meno fiorito e tale da raffigurare con maggiore immediatezza le emozioni psicologiche dei personaggi. Bellini e Donizetti presero ad accostarsi a un linguaggio per l’epoca
realistico, sopprimendo o riducendo le fioriture e l’ornamentazione nel canto delle voci maschili e, a volte, anche in quello delle voci femminili. Fu il primo passo verso la verosimiglianza del linguaggio vocale e il secondo fu costituito da melodie che si sviluppano in un motivo semplice, tenero, malinconico, in pieno spirito di Sehnsucht romantica. A questo periodo risale tra l’altro la riforma attuata dal compositore bergamasco nella disposizione dell’orchestra: per ottenere gli effetti sonori richiesti dall’azione scenica, dispose le famiglie di strumenti a emiciclo attorno al maestro iniziando dagli archi e creando cosi una disposizione rimasta nell’uso e applicata definitivamente dalla pratica moderna.
Lasciata la terra natia, Donizetti trovò ampia fortuna anche a Parigi con la riproposizione di opere in versione francese o con nuove produzioni come La fille du régiment (1840), La Favorite (1842) e Rita ou le Mari Battu, rappresentata
postuma. Parentesi importante fu anche l’attività musicale a Vienna nel 1842 quando ricevette la nomina a maestro di cappella e compositore di corte. Infine nel luglio del 1845, ritornato a Parigi in condizioni di salute assai precarie, compromesso dalla sifilide, diede segni di instabilità mentale al punto che fu
internato nel ospedale psichiatrico di Ivry-sur-Seine. Grazie all’intervento dell’ambasciata austriaca a Parigi, gli fu consentito di tornare a Bergamo, dove morì l’8 aprile 1848. Sepolto nel cimitero di Valtesse di Bergamo Bassa, nel 1875 la salma del compositore fu esumata e i resti trasportati in S. Maria Maggiore e deposti nel monumento scolpito da Vincenzo Vela accanto a quello di Simone Mayr.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia al Dizionario biografico degli Italiani.