Nel 1816 il Teatro San Carlo di Napoli subì un rovinoso incendio. I lavori di ricostruzione furono rapidi, tanto che il 12 gennaio 1817 si poté inaugurare la nuova sala disegnata dall’architetto neoclassico Antonio Niccolini. Per l’occasione fu chiesto a Giovanni Simone Mayr di musicare un “melodramma allegorico” su testo di Urbano Lampredi: Il sogno di Partenope. L’ouverture segue la tipica forma delle sinfonie teatrali alla Rossini, con un’introduzione lenta a cui segue un Allegro dai caratteristici effetti di crescendo. Lampredi, un letterato toscano attivo in terra napoletana al pari del Niccolini, non era un letterato di secondo piano nel panorama dell’epoca:
aveva tra l’altro partecipato al vivace dibattito sulle traduzioni omeriche prendendo le difese di Vincenzo Monti e opponendosi a Ugo Foscolo. Nella premessa al libretto si legge: “Nel comporre questo melodramma allegorico altro scopo non mi sono prefisso che quello di adombrare con personaggi mitologici la storia del funesto
accidente che nello scorso anno ridusse in cenere uno de’ più grandiosi teatri d’Europa e del suo felice ristabilimento. […] Ho mirato in secondo luogo a rendere, quanto poteasi, sensibile il brevissimo tempo impiegato per la ricostruzione di questa mole maravigliosa, secondo la volontà del munificentissimo monarca Ferdinando I, felicemente regnante, espressa in questi termini già divulgati: «Io voglio che l’imagine di un sì tristo avvenimento
sparisca dagli occhi del mio popolo come un sogno». Quindi mi sono prevaluto della virtù sonnifera di Mercurio, ond’egli sopisce Partenope nel mentre che passa l’allegorico personaggio che rappresenta il Tempo, e si presuppone rifabbricarsi il Teatro. Finalmente questo monumento ricomparisce a Partenope dopo il suo breve sogno nel giorno natalizio del suo Signore, il quale giorno sarà sempre per lei memorabile e sacro”.
L’opera di Mayr ebbe un testimone d’eccezione: il grande scrittore Stendhal. Queste le sue impressioni: “Finalmente il gran giorno: il San Carlo apre i battenti. Grande eccitazione, torrenti di folla, sala abbagliante. All’ingresso, scambi di pugni e spintoni. Avevo giurato di non arrabbiarmi, e ci son riuscito. Ma mi hanno strappato le falde dell’abito. Il posto in platea mi è costato 32 carlini (14 franchi) e 5 zecchini un decimo di palco di terz’ordine. La prima impressione è d’esser piovuti nel palazzo di un imperatore orientale. Gli occhi sono abbagliati, l’anima rapita. […] Non c’è nulla, in tutta Europa, che non dico si avvicini a questo teatro, ma ne dia la più pallida idea. Questa sala, ricostruita in trecento giorni, è come un colpo di Stato. Essa garantisce al re, meglio della legge più perfetta, il favore popolare”.
Nell’immagine sottostante si riproduce una tempera di Ferdinando Roberto del 1825, in cui appare la sala del San Carlo di Napoli con i colori originari azzurro e argento, come apparvero a Stendhal.