Benedetto Marcello (Venezia, 1686 - Brescia, 1738)

Benedetto Marcello, celebre compositore e letterato, nacque a Venezia il 24 luglio 1686 dalla nobile famiglia del ramo alla Maddalena. Studiò musica sotto la guida di Francesco Gasparini. Autore di musica strumentale (Concerti e Sonate) e di innumerevoli cantate da camera, duetti, serenate e oratori, si affermò soprattutto con la monumentale raccolta de L’Estro poetico-armonico  (1724-1726), parafrasi poetico-musicale dei primi cinquanta salmi della Bibbia. L’Estro fu oggetto di profonda ammirazione per molti musicisti dell’Ottocento, da Rossini a Verdi. Ai nostri giorni Marcello è conosciuto soprattutto per la sua pungente satira letteraria Il Teatro alla moda, pubblicata in forma anonima nel 1720. Inviato a Brescia nel 1738 per ricoprire l’incarico amministrativo di camerlengo della Serenissima Repubblica, morì precocemente di tubercolosi nella città lombarda l’anno successivo.

Per approfondimenti si rinvia al Dizionario biografico degli Italiani. Cfr. inoltre: Marco Bizzarini, Benedetto Marcello, Palermo, L’Epos, 2006.

Mirabile esempio di cantata da camera con strumenti, Arianna abbandonata appartiene alla piena maturità di Marcello e risale probabilmente ai tardi anni ’20 del Settecento. Parrebbe un’elegante sintesi della serenata Arianna (c. 1726), “intreccio scenico-musicale” su versi di Vincenzo Cassani, con cui condivide la meravigliosa aria “Come mai puoi lasciarmi piangere”. Si noteranno la grande raffinatezza dei recitativi caratterizzati da inconsuete ed espressive modulazioni, ma anche la felice invenzione melodica nelle arie.

La macrostruttura della cantata presenta la caratteristica successione: Recitativo, Aria, Recitativo, Aria.

Marcello, pur avendo aspramente criticato il melodramma del suo tempo nel Teatro alla moda, in questo componimento si rivela un finissimo drammaturgo musicale.

Scheda a cura di Marco Bizzarini

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L’interpretazione della cantata è affidata al mezzosoprano Marie-Claude Chappuis.

Testo della composizione

Dove, misera! dove
lungi da me, crudo Teseo, ten vai?
Questa piú non sperai
dal costante amor mio, dalla mia fede
aspra ingrata mercede.
Non son quell’io che la tua patria sciolsi
dal gravoso tributo e che ti tolsi
con l’arte mia dal Minotauro orrendo?
Crudel, da te ingannata, ah ben lo sai,
per abbracciarti sposo
il regno e sino il padre abbandonai.
Teseo, Teseo adorato,
deh torna all’amor mio; senza te moro:
il tuo fiero abbandono
piú mi pesa che morte,
che padre e patria e trono.
Deh ritorna al mio seno
E, se mi nieghi amore,
come tu vuoi teco mi guida almeno.

Come mai puoi
lasciarmi a piangere
senza che frangere
il cor ti senta?
Come mai spenta
è in te pietà?

Morta mi vuoi?
Crudel, m’esanima,
togli a quest’anima
la pena amara,
ché da te cara
la morte avrà.

Se fia che pensi, o caro,
tallor alla mia fede, all’amor mio,
forse pensier sí rio
d’andar lungi da me fia che deponga
né del mar procelloso
all’orrido furor la vita esponga.
Lascia i rischi dell’onde,
i perigli de’ venti, e nel mio seno,
ché te n’affretta ‘l cor, ten prega l’alma,
riedi a trovar e sicurezza e calma.

Che dolce foco in petto
oltre l’usato io sento
ch’invece di tormento
gioia mi dà e diletto
e mi consola!

E se d’un vivo ardore
sento quest’alma piena,
desio, ma sempre pena
amo, ma del mio core
il duol s’invola.

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