Carlo Pallavicino

Aria “Dormite, o pupille” da Nerone

Seicento
Carlo Pallavicino (Salò 1630 c. – Dresda 1688)

Non sono molte le notizie relative alla gioventù di Carlo Pallavicino (o Pallavicini), nato a Salò intorno al 1630, distintosi come uno dei maggiori operisti della seconda metà del Seicento. La prima attività di cui si ha conoscenza risale al 1665, quando viene assunto con il ruolo di organista presso la Basilica di Sant’Antonio di Padova. Nel 1666 mette in scena a Venezia, al teatro San Moisé, due opere: il Demetrio e Il tiranno umiliato. Negli anni successivi lo ritroviamo a Dresda, al servizio del Principe Elettore di Sassonia Giorgio II, prima come vice-maestro di cappella, poi dopo la morte del titolare Heinrich Schütz, come Kapellmeister. Nel 1673 ritorna a Padova come organista, sempre nella Basilica di Sant’Antonio, ma già dal 1674 e fino al 1685 è a Venezia, maestro di coro presso l’Ospedale degli Incurabili, dove compone vari oratori. In questi anni si occupa spesso di teatro musicale e dal 1678 inizia una collaborazione che durerà sette anni, con il teatro San Giovanni Crisostomo (inaugurato proprio col suo Vespesiano) e il teatro San Giovanni e Paolo. Per quest’ultimo teatro compone la musica de La Gerusalemme liberata, su libretto di Giulio Cesare Corradi liberamente tratto dall’omonimo poema di Torquato Tasso. Nel 1679 inaugura con Le amazzoni nell’isole fortunate il teatro del procuratore di San Marco, Marco Contarini, a Piazzola sul Brenta.
Sono gli anni in cui il musicista si riavvicina alla zona del lago di Garda, prendendo casa a Manerba. La villa che fu in precedenza del letterato Silvano Cattaneo, detta Belvedere o Belgioioso, comprendeva anche l’isoletta chiamata “dei conigli”. Dal 1685 si reca a Dresda, invitato da Giorgio III di Sassonia, e vi rimane fino alla morte come “camerae ac teatralis musicae praefectus” , lasciando poi l’eredità al figlio Stefano Benedetto. Questi divenne poi un librettista. Ebbe un altro figlio, il compositore Vincenzo.
Pallavicino fu uno dei tipici rappresentanti della media e tarda opera veneziana, nella quale già si intravedeva una cristallizzazione della forma. Le sue composizioni si distinguono per la piacevole eleganza dell’invenzione melodica, spesso
vivacizzata da toni quasi popolari e ritmi vigorosi.

Per ulteriori dettagli si rinvia al Dizionario biografico degli Italiani.

L’aria  “Dormite, o pupille” è tratta dall’opera Nerone, su poesia di Giulio Cesare Corradi, andata in scena al teatro San Giovanni Grisostomo di Venezia nel 1678. Viene cantata da Endimione nella seconda scena del terzo atto, come tipica “aria del sonno” e si sviluppa su due strofe di pari lunghezza. L’aspetto melodico viene esaltato dalla grande semplicità ed intensità espressiva. In un manoscritto conservato alla biblioteca del Conservatorio di Napoli si conserva una rielaborazione in forma di aria da camera per soprano e basso continuo articolata in tre strofe, con testo variato rispetto al libretto dell’opera.

Scheda a cura di Chiara Bianchi

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L’esecuzione dell’aria, in versione “da camera”, è affidata al soprano Cristina Fanelli con l’ensemble di liuti del Conservatorio Piccinni di Bari (Angela Lacalamita, Patrizia Di Lorenzo e Fabio Armenise ai liuti, Ginevra Lella alla chitarra barocca, Mauro Del Grosso e Diego Cantalupi agli arciliuti, Edward Szost, alla tiorba).

Testo della composizione

Dormite, o pupille,

tra taciti orrori

né deste v’aprite

se voi non sentite

che giunga a svegliarvi

il nume de’ cori.

 

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